vacanze a napoli
Napoli (Campania) è, esso stesso, una delle vestigia meglio conservate nel centro storico partenopeo, caso unico in una città rimasta per molti secoli insieme con Londra, Parigi e Costantinopoli tra le più popolate del continente europeo. La maglia viaria è, infatti, ancora fondata sull'impianto ortogonale di formazione romana, che delimita isolati rettangolari, molti dei quali sono ancora oggi uniti tra di loro. Buona parte della topografia della città non fu dunque scalpita dal grande fervore edilizio che ravvivò la vicenda urbana napoletana tra la fine del XVI e il XVII secolo, epoca appunto nella quale si allarga la stagione barocca. La politica intrapresa dai viceré spagnoli nello sforzo di favorire il trasferimento nella capitale della nobiltà feudale, cui seguì l'immigrazione delle masse dei poveri dalle campagne, modificò Napoli in una metropoli che, nel 1595, aveva toccato già 300 mila abitanti. Splendori d'ori e di marmi accecarono in quell'epoca il popolo nei luoghi del potere, ricoperti di scenografie decorative intrise del fastoso linguaggio derivalo dal gusto spagnolo. A Napoli, le tendenze artistiche barocche furono disciplinate dall’arte lombarda di Domenico Fontana, protagonista del '600 napoletano, prima che Soffinena gettasse le basi di una scuola locale e Vanvitelli, autore della Reggia di Caserta, decidesse il primato dell'architettura barocca dell'Italia meridionale.
Nella pittura. la luce del Caravaggio, importantissimo per l'arte non solo partenopea, dette vigore Jusepe de Ribera, detto lo ,Spagnoletto, e a tutta l'illustre corrente dei caravaggeschi. Seguirono su quella scia molti talenti artistici e altrettante personalità del barocco italiano: dall'estroso Mattia Preti e a Luca Giordano.
Il palazzo Carafa di Maddaloni è con ogni probabilità l'edificio più indicativo del barocco partenopeo, sia per la reputazione dei proprietari, sia per dimensioni e rilievo artistico. Costruito sul finire del '500, la residenza divenne proprietà dei Carafa di Maddaloni, che la fecero ingrandire e decorare da Cosimo Fanzago, destinato a lasciare un'impronta incancellabile sulla Napoli del '600. Nel ricco appartamento al piano nobile, la volta della sala delle Feste fu affrescata nel XVIII secolo da Fedele Fischetti.
La chiesa del Gesù Nuovo è un tempio preceduto dalla guglia dell'Innacolata, elevata tra il 1747 e il 1750 dalla Compagnia di Gesù con fine auto celebrativo; le sculture raffigurano santi gesuiti e storie mariane. Per innalzare la chiesa, l'ordine aveva recuperato l’imponente facciata del tardo-quattrocentesco palazzo San Severino di Salerno, contraddistinta dal bugnato a punta di diamante, assai comune nelle province del Regno, ma allora molto di meno nella capitale.
Il portale barocco che introduce il vasto interno a pianta centrale, conformazione inusuale per la Compagnia di Gesù che, attenendosi esattamente ai dettami della Controriforma, innalzò edifici per lo più croce latina e a navata unica.
Quasi tutti i più rilevanti marmorari scultori e pittori attivi a Napoli tra la fine del '500 e la metà dell'800 hanno lasciato il loro segno nel ricco rivestimento a marmi commessi, stucchi e affreschi: primo fra tutti. Francesco Solimena, autore della Cacciata di Eliodoro dal tempio in controfacciata. I dipinti nelle volte della navata centrale si devono a Paolo De Matteis e al greco Belisario Corenzio, che conseguì anche gli affreschi dei cappelloni di S. Francesco Saverio e di S. Ignazio, ingioiellati da tele di Luca Giordano e da sculture del Fanzago.
Senza dimenticare i magnifici Evangelisti nei pennacchi della cupola, dipinti dal parmigiano Giovanni Lanfranco, e le storie mariane nel presbiterio, a firma di Massimo Stanzione.
La chiesa del Purgatorio ad Arco è un ambiente seicentesco tutto si richiama al culto dei morti, tuttora molto caro ai napoletani. Teschi e tibie incrociate in bronzo si ripetono sia all'esterno e sia nell' interno, comparendo anche nell'impressionante motivo scolpito dietro l'altare maggiore. Riprendono il macabro tema anche le tele alle pareti. tra le quali meritano attenzione la Madonna e le anime purgati, opera di Massimo Stanzione, il S. Alessio moribondo di Luca Giordano e il Transito di S.Giuseppe dipinto da Andrea Vaccaro.
S. Paolo Maggiore sorse sul tempio dedicato ai Dioscori, di cui rimangono solamente due monumentali colonne a ridosso della facciata, niente resta del luogo di culto medievale, ristrutturato dai 'Pettini con l'annesso convento tra il 1583 e il 1603. Alla decorazione della chiesa parteciparono molti artisti della scena artistica napoletana nei secoli XVII e XVIII; nonostante le profonde ferite prodotte dai bombardamenti del secondo conflitto mondiali, le tre navate interne appaiono ancora splendenti di ornati, con le cappelle laterali spesso ordinatamente collegate dal palinsesto decorativo alla campata antistante.
Le opere d'arte
Particolare attenzione merita , nel transetto sinistro, la cappella Firrao, con splendidi marini della bottega dei Lazzari; sull'altare troneggia una Madonna col Bambino di Giulio Mencaglia, cui si deve anche la tomba di Antonio Firrao ( 1642); quella di Cesare Firrao è opera di Giuliano Finelli, mentre gli affreschi nella volta portano la firma di Aniello Falcone. Ci si sposta nel presbiterio per osservare l'altare maggiore, disegnato nel 1608 dall'architetto fiorentino Ferdinando Fuga, con un bellissimo ciborio.
La cappella del Tesoro di S. Gennaro si apre lungo la navata destra del Duomo, il monumentale ingresso della chiesa, innalzata a compimento del voto espresso dalla cittadinanza durante la peste del 1527. Vista l'importanza dell'occasione, non si curò delle spese, implicando nell'opera artisti di gran nome, che cooperarono a fare delle cappella uno tra i principali monumenti barocchi del capoluogo campano. Due edicole con i Ss. Pietro e Paolo di Giuliano Finelli.
Fatta eccezione per il Paradiso nella cupola, eseguito da Giovanni Lanfranco nel 1643, gli affreschi che ornano volte, lunette e pennacchi si devono al Domenichino, così come i dipinti su rame agli altari, contenuti in splendide cornici; il magnifico Miracolo del santo che esce illeso dalla fornace è però dello Spagnoletto, nome d'arte del maestro iberico Jusepe de Ribera. Nello sconfinato e ricco apparato decorativo si segnalano anche le statue in bronzo dei patroni; l'altare maggiore, con un superbo paliotto in argento di Giovanni Domenico Vinaccia; i due grandi candelabri d'argento; tutt'intorno, i busti dei tanti compatroni di Napoli, insieme di notevole interesse per lo studio dell'arte plastica partenopea tra il XVII e il XIX secolo. In occasione delle feste di S. Gennaro (la prima domenica di maggio e il 19 settembre), il pubblico ha l'occasione di osservare il busto re1iquiario, meraviglia dell’oreficeria gotica conseguita da artigiani francesi e il trecentesco reliquiario del Sangue.
Il Pio Monte della Misericordia.
Oggi come al momento della sua fondazione, sono le opere di misericordia corporale il fine dell'istituzione che dal 1670 ha sede in un edificio appositamente innalzato dall'architetto partenopeo Francesco Antonio Picchiarti. Costante è perciò il richiamo allo scopo caritatevole associazione, a iniziare dal portico in facciata, progettato per ricevere i bisognosi e sottolineare il carattere laico della realizzazione occultando l’ingresso della chiesa. Abbellisce il prospetto frontale anche un bel gruppo scultore di Andrea Falcone, con Madonna della Misericordia tra due figure simboliche accennando alle sette opere di misericordia corporale.
La chiesa è a pianta ottagonale. Al suo interno sei cappelle fronteggiano l’eccezionale Caravaggio (Opera di misericordia) all'altare maggiore, incomparabile immagine nella vita del popolo napoletano nel primo '600: sotto la Madonna col Bambino tra angeli, il pittore rappresentò episodi tratti dalla Bibbia, dalla storia antica e dalla realtà quotidiana, riassumendovi le opere di misericordia corporale. Questo rimane il motivo conduttore comune ai dipinti sugli altari delle cappelle minori, tra cui spicca la Liberazione di Pietro dal carcere di Battisteilo Caracciolo.
La certosa di S. Martino.
Correva l'anno 1325 quando i d' Angiò affidarono a Francesco de Tino di Camaino la realizzazione di un grande complesso religioso sulla collina del Voniero, sfruttando lo spazio lasciato libero dal Belforte — al cui posto sorse due secoli più tardi l’odieno Castel S. Elmo — ma la fama della certosa è legata al restauro seicentesca diretta da Cosimo Fanzago, che realizzo qui uno dei capolavori del barocco napoletano. Ottocentesca ha invece la trasformazione degli ambienti conventuali in museo, che compongono, con la chiesa e i chiostri, un insieme di straordinario interesse artistico. Bellissimo il panorama che si gode dal piazzale d'ingresso, dal quale si scruta la celebrata veduta di Spaccanapoli, tra le più tipiche arterie del centro storico, con la sua continua sequenza di chiese, piazze, palazzi e guglie.
A sinistra del cortile d'ingresso si erge la facciata del tempio, ritoccata dal grande architetto lombardo travestendo il pronao trecentesco. Ma è il magnifico interno a navata unica, con cappelle create dalle navate laterali del tempio gotico, a confermare l'eccezionale livello del suo rinnovamento stilistico. Tra la fine del '500 e i primi 20 anni del XVIII secolo, il cantiere della certosa preparò modelli artistici ripresi non solamente a Napoli, grazie alla presenza dei più grandi artisti allora attivi in città.
Fanzago diresse la fabbrica dal 1623 al 1656 e, oltre a definire le linee generali del programma ornamentale, conseguì in prima persona le transenne della cappella i festoni di frutta e fiori, buona parte dei putti sui fornici, i motivi floreali sui pilastri e il disegno dei pavimento. A travestire il disegno delle crociere nella volta provvide Giovanni Lanfranco, riunificandole nella rappresentazione nell’ascensione di Gesù; in controfacciata, la Pietà di Massimo Stanzione è accompagnata dal Mosè e dall’Elia dello Spagnolette, cui si devono anche i profeti sopra le arcate delle cappelle.
Le cappelle racchiudono, a loro volta, un ricco patrimonio d'arte, a iniziare dagli affreschi di Domenico Antonio Vaccaro che decorano la cappella del Rosario, per proseguire con i dipinti di Massimo Stanzione e con le statue di Giuseppe Sanmartino; interessanti sono anche tre tele del De Mura e alcuni dipinti di Battistello Caracciolo. 1 cicli pittorici e i dipinti della seconda cappella destra furono eseguiti dallo Stanzione, mentre sono ascrivibili al Caracciolo quelli della prima, cui segue la cappella di S. Giuseppe, ricca di stucchi.
La parata di capolavori continua del presbiterio, abbellito nella volta da affreschi del Cavalier d'Arpino, dove risaltano Natalità di Guido Reni, Crocifissione del Lanfranco e lavanda dei Piedi di Baffistello Caracciolo. Il culmine è raggiunto nel Trionfa di Giuditta, dipinto da Luca Giordano sulla volta della cappella del 'Tesoro; di fronte a questo capolavoro, non sfigura la solenne Deposizione di Jusepe de Ribera.
Il Museo nazionale di S. Martino.
Ritornati nel cori si entra nel chiostro dei Procuratori, opera dell'architetto Giovanni Antonio Desio; suo anche il chiostro grande, cui il Fanzago unì i portali agli angoli dell'ambulacro, ornati da busti di santi certosini, le statue sul loggiato e la balaustra del cimitero dei Monaci. Gli ambienti conventuali ospitano il Museo nazionale di S. Martino, che ha il proprio fulcro nella collezione dei presepi: notevole l'insieme di S. Giovanni a Carbonara, con statuine in legno del '400 e il presepe Ciciniello.
L'istituzione contiene anche la sezione Orilla e il Quarto del Priore, dove hanno trovato spazio i dipinti e le sculture spostati dalla chiesa in occasione del suo restauro. prima di uscire dalla certosa, meritano uno sguardo gli orti vicini al chiostro dei Procuratori.
Nella pittura. la luce del Caravaggio, importantissimo per l'arte non solo partenopea, dette vigore Jusepe de Ribera, detto lo ,Spagnoletto, e a tutta l'illustre corrente dei caravaggeschi. Seguirono su quella scia molti talenti artistici e altrettante personalità del barocco italiano: dall'estroso Mattia Preti e a Luca Giordano.
Il palazzo Carafa di Maddaloni è con ogni probabilità l'edificio più indicativo del barocco partenopeo, sia per la reputazione dei proprietari, sia per dimensioni e rilievo artistico. Costruito sul finire del '500, la residenza divenne proprietà dei Carafa di Maddaloni, che la fecero ingrandire e decorare da Cosimo Fanzago, destinato a lasciare un'impronta incancellabile sulla Napoli del '600. Nel ricco appartamento al piano nobile, la volta della sala delle Feste fu affrescata nel XVIII secolo da Fedele Fischetti.
La chiesa del Gesù Nuovo è un tempio preceduto dalla guglia dell'Innacolata, elevata tra il 1747 e il 1750 dalla Compagnia di Gesù con fine auto celebrativo; le sculture raffigurano santi gesuiti e storie mariane. Per innalzare la chiesa, l'ordine aveva recuperato l’imponente facciata del tardo-quattrocentesco palazzo San Severino di Salerno, contraddistinta dal bugnato a punta di diamante, assai comune nelle province del Regno, ma allora molto di meno nella capitale.
Il portale barocco che introduce il vasto interno a pianta centrale, conformazione inusuale per la Compagnia di Gesù che, attenendosi esattamente ai dettami della Controriforma, innalzò edifici per lo più croce latina e a navata unica.
Quasi tutti i più rilevanti marmorari scultori e pittori attivi a Napoli tra la fine del '500 e la metà dell'800 hanno lasciato il loro segno nel ricco rivestimento a marmi commessi, stucchi e affreschi: primo fra tutti. Francesco Solimena, autore della Cacciata di Eliodoro dal tempio in controfacciata. I dipinti nelle volte della navata centrale si devono a Paolo De Matteis e al greco Belisario Corenzio, che conseguì anche gli affreschi dei cappelloni di S. Francesco Saverio e di S. Ignazio, ingioiellati da tele di Luca Giordano e da sculture del Fanzago.
Senza dimenticare i magnifici Evangelisti nei pennacchi della cupola, dipinti dal parmigiano Giovanni Lanfranco, e le storie mariane nel presbiterio, a firma di Massimo Stanzione.
La chiesa del Purgatorio ad Arco è un ambiente seicentesco tutto si richiama al culto dei morti, tuttora molto caro ai napoletani. Teschi e tibie incrociate in bronzo si ripetono sia all'esterno e sia nell' interno, comparendo anche nell'impressionante motivo scolpito dietro l'altare maggiore. Riprendono il macabro tema anche le tele alle pareti. tra le quali meritano attenzione la Madonna e le anime purgati, opera di Massimo Stanzione, il S. Alessio moribondo di Luca Giordano e il Transito di S.Giuseppe dipinto da Andrea Vaccaro.
S. Paolo Maggiore sorse sul tempio dedicato ai Dioscori, di cui rimangono solamente due monumentali colonne a ridosso della facciata, niente resta del luogo di culto medievale, ristrutturato dai 'Pettini con l'annesso convento tra il 1583 e il 1603. Alla decorazione della chiesa parteciparono molti artisti della scena artistica napoletana nei secoli XVII e XVIII; nonostante le profonde ferite prodotte dai bombardamenti del secondo conflitto mondiali, le tre navate interne appaiono ancora splendenti di ornati, con le cappelle laterali spesso ordinatamente collegate dal palinsesto decorativo alla campata antistante.
Le opere d'arte
Particolare attenzione merita , nel transetto sinistro, la cappella Firrao, con splendidi marini della bottega dei Lazzari; sull'altare troneggia una Madonna col Bambino di Giulio Mencaglia, cui si deve anche la tomba di Antonio Firrao ( 1642); quella di Cesare Firrao è opera di Giuliano Finelli, mentre gli affreschi nella volta portano la firma di Aniello Falcone. Ci si sposta nel presbiterio per osservare l'altare maggiore, disegnato nel 1608 dall'architetto fiorentino Ferdinando Fuga, con un bellissimo ciborio.
La cappella del Tesoro di S. Gennaro si apre lungo la navata destra del Duomo, il monumentale ingresso della chiesa, innalzata a compimento del voto espresso dalla cittadinanza durante la peste del 1527. Vista l'importanza dell'occasione, non si curò delle spese, implicando nell'opera artisti di gran nome, che cooperarono a fare delle cappella uno tra i principali monumenti barocchi del capoluogo campano. Due edicole con i Ss. Pietro e Paolo di Giuliano Finelli.
Fatta eccezione per il Paradiso nella cupola, eseguito da Giovanni Lanfranco nel 1643, gli affreschi che ornano volte, lunette e pennacchi si devono al Domenichino, così come i dipinti su rame agli altari, contenuti in splendide cornici; il magnifico Miracolo del santo che esce illeso dalla fornace è però dello Spagnoletto, nome d'arte del maestro iberico Jusepe de Ribera. Nello sconfinato e ricco apparato decorativo si segnalano anche le statue in bronzo dei patroni; l'altare maggiore, con un superbo paliotto in argento di Giovanni Domenico Vinaccia; i due grandi candelabri d'argento; tutt'intorno, i busti dei tanti compatroni di Napoli, insieme di notevole interesse per lo studio dell'arte plastica partenopea tra il XVII e il XIX secolo. In occasione delle feste di S. Gennaro (la prima domenica di maggio e il 19 settembre), il pubblico ha l'occasione di osservare il busto re1iquiario, meraviglia dell’oreficeria gotica conseguita da artigiani francesi e il trecentesco reliquiario del Sangue.
Il Pio Monte della Misericordia.
Oggi come al momento della sua fondazione, sono le opere di misericordia corporale il fine dell'istituzione che dal 1670 ha sede in un edificio appositamente innalzato dall'architetto partenopeo Francesco Antonio Picchiarti. Costante è perciò il richiamo allo scopo caritatevole associazione, a iniziare dal portico in facciata, progettato per ricevere i bisognosi e sottolineare il carattere laico della realizzazione occultando l’ingresso della chiesa. Abbellisce il prospetto frontale anche un bel gruppo scultore di Andrea Falcone, con Madonna della Misericordia tra due figure simboliche accennando alle sette opere di misericordia corporale.
La chiesa è a pianta ottagonale. Al suo interno sei cappelle fronteggiano l’eccezionale Caravaggio (Opera di misericordia) all'altare maggiore, incomparabile immagine nella vita del popolo napoletano nel primo '600: sotto la Madonna col Bambino tra angeli, il pittore rappresentò episodi tratti dalla Bibbia, dalla storia antica e dalla realtà quotidiana, riassumendovi le opere di misericordia corporale. Questo rimane il motivo conduttore comune ai dipinti sugli altari delle cappelle minori, tra cui spicca la Liberazione di Pietro dal carcere di Battisteilo Caracciolo.
La certosa di S. Martino.
Correva l'anno 1325 quando i d' Angiò affidarono a Francesco de Tino di Camaino la realizzazione di un grande complesso religioso sulla collina del Voniero, sfruttando lo spazio lasciato libero dal Belforte — al cui posto sorse due secoli più tardi l’odieno Castel S. Elmo — ma la fama della certosa è legata al restauro seicentesca diretta da Cosimo Fanzago, che realizzo qui uno dei capolavori del barocco napoletano. Ottocentesca ha invece la trasformazione degli ambienti conventuali in museo, che compongono, con la chiesa e i chiostri, un insieme di straordinario interesse artistico. Bellissimo il panorama che si gode dal piazzale d'ingresso, dal quale si scruta la celebrata veduta di Spaccanapoli, tra le più tipiche arterie del centro storico, con la sua continua sequenza di chiese, piazze, palazzi e guglie.
A sinistra del cortile d'ingresso si erge la facciata del tempio, ritoccata dal grande architetto lombardo travestendo il pronao trecentesco. Ma è il magnifico interno a navata unica, con cappelle create dalle navate laterali del tempio gotico, a confermare l'eccezionale livello del suo rinnovamento stilistico. Tra la fine del '500 e i primi 20 anni del XVIII secolo, il cantiere della certosa preparò modelli artistici ripresi non solamente a Napoli, grazie alla presenza dei più grandi artisti allora attivi in città.
Fanzago diresse la fabbrica dal 1623 al 1656 e, oltre a definire le linee generali del programma ornamentale, conseguì in prima persona le transenne della cappella i festoni di frutta e fiori, buona parte dei putti sui fornici, i motivi floreali sui pilastri e il disegno dei pavimento. A travestire il disegno delle crociere nella volta provvide Giovanni Lanfranco, riunificandole nella rappresentazione nell’ascensione di Gesù; in controfacciata, la Pietà di Massimo Stanzione è accompagnata dal Mosè e dall’Elia dello Spagnolette, cui si devono anche i profeti sopra le arcate delle cappelle.
Le cappelle racchiudono, a loro volta, un ricco patrimonio d'arte, a iniziare dagli affreschi di Domenico Antonio Vaccaro che decorano la cappella del Rosario, per proseguire con i dipinti di Massimo Stanzione e con le statue di Giuseppe Sanmartino; interessanti sono anche tre tele del De Mura e alcuni dipinti di Battistello Caracciolo. 1 cicli pittorici e i dipinti della seconda cappella destra furono eseguiti dallo Stanzione, mentre sono ascrivibili al Caracciolo quelli della prima, cui segue la cappella di S. Giuseppe, ricca di stucchi.
La parata di capolavori continua del presbiterio, abbellito nella volta da affreschi del Cavalier d'Arpino, dove risaltano Natalità di Guido Reni, Crocifissione del Lanfranco e lavanda dei Piedi di Baffistello Caracciolo. Il culmine è raggiunto nel Trionfa di Giuditta, dipinto da Luca Giordano sulla volta della cappella del 'Tesoro; di fronte a questo capolavoro, non sfigura la solenne Deposizione di Jusepe de Ribera.
Il Museo nazionale di S. Martino.
Ritornati nel cori si entra nel chiostro dei Procuratori, opera dell'architetto Giovanni Antonio Desio; suo anche il chiostro grande, cui il Fanzago unì i portali agli angoli dell'ambulacro, ornati da busti di santi certosini, le statue sul loggiato e la balaustra del cimitero dei Monaci. Gli ambienti conventuali ospitano il Museo nazionale di S. Martino, che ha il proprio fulcro nella collezione dei presepi: notevole l'insieme di S. Giovanni a Carbonara, con statuine in legno del '400 e il presepe Ciciniello.
L'istituzione contiene anche la sezione Orilla e il Quarto del Priore, dove hanno trovato spazio i dipinti e le sculture spostati dalla chiesa in occasione del suo restauro. prima di uscire dalla certosa, meritano uno sguardo gli orti vicini al chiostro dei Procuratori.
D'obbligo la salita all'eremo sui Camaldoli, che si trova sul punto più alto dei Campi Flegrei (458 m), offrendo perciò bellissimi panorami che spaziano dal Vesuvioio al golfo di Gaeta e, nell'entro- terra, verso il Matese. All'interno della chiesa, edificata nei 1585, meritano attenzione i dipinti con santi camaldolesi del maestro Antiveduto Grammatica.