vacanze a lecce
Lecce (Puglia), si mostra raccolta, ovattata, elegante e suggestiva. Il capoluogo del Salento, in particolar modo al calare del sole, quando l’illuminazione artificiale la mette in evidenza il complesso unitario di tesori artistici che sono valsi a Lecce l'appellativo di 'Firenze del barocco”, impresso nel XIX secolo dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius. Ecco allora i piccoli scrigni che si dischiudono nel centro storico: palazzi, chiese, conventi, espressioni di epoche accomunate dalla tenera e bianca pietra locale, che al contatto con l'aria assume – le caratteristiche sfumature dorate. Proprio l'utilizzo di questo calcare malleabile rese possibile l'originalità e la ricchezza peculiarità del barocco salentino, intimamente differente sia da quello romano, sia da quello napoletano.
A pochi chilometri dalla città, la costa adriatica è rimasta, grazie alla sua disposizione aspra e dirupata, lontana dalle correnti del turismo di massa, mantenendo in questo modo un mare.
Dalla bellezza ancora adamantina; più marcato, è il segno lasciato dall’uomo sul versante ionico, dove la costa bassa e sabbiosa ha favorito l’insediamento di molteplici camping, villaggi e residence. Spostandosi nell’interno, il panorama offre una nota peculiare nelle diffuse coltivazioni di tabacco, le cui foglie vengono lasciate asciugare tra spalliere di fichi d'India e cespugli di capperi. Vite e ulivo riproducono le altre risorse di un territorio, dove l'impatto industriale ha spesso lasciato poche tracce.
Lecce non è solo barocca la realtà storica, culturale e artistica del capoluogo salentino. La presenza, nel cuore della città, del teatro e di età adrianea suggerisce di cercarne le radici in epoche più remote. Della Lupiae parla già Strabone, e da quel toponimo sembra trarre anche la lupa che ampeggia nello stemma cittadino. Se l'epoca bizantina e sveva aiutarono l'ascesa di Otranto, gli Angioini, attraverso le potenti casate dei Brienne e degli Enghien, autorizzarono a Lecce di ampliare i propri orizzonti al di là degli angusti locali, aprendola ai commerci con Venezia, in una crescita di autorità.
Il Duomo.
Il primo luogo di culto, innalzato intorno al 1100, fu riorganizzato nella seconda metà del XVI secolo da Giuseppe Zimbalo, totalmente diverse le due facciate: quella principale, laterale rispetto all’orientamento della Cattedrale, riassume nell’esuberanza della decorazione la tradizione del barocco locale.
L’interno, suddiviso in tre navate e chiuso da un soffitto ligneo a cassettoni, mantiene preziosi altari in pietra locale, realizzati dai maestri Giuseppe Cino e Cesare Penna.
Le tre tele nell’abside riportano la firma del pittore settecentesco Oronzo Tiso.
L’anfiteatro.
Si stendeva su buona parte dell’odierna piazza S. Oronzo, le gradinate dell’arena potevano ospitare circa 20 mila spettatori, la cui presenza ha impedito di portare alla luce l’intera struttura. Scoperto nei primi anni del ‘900, l’anfiteatro risale ad Adriano (II secolo d. C.), sulla sommità gradinate correva un parapetto decorato rilievi raffiguranti combattimenti fra uomini, leoni, orsi e tori, parte dei quali è sparsa nell'arena; altri frammenti sono in mostra presso il Museo provinciale Sigismondo Castromediano.
Basilica di S. Croce.
Vi lavorarono diversi artisti, prima Gabriele Riardi nel 1549, che portò a compimento la parte inferiore della facciata; il protiro e i portali laterali sono opera di Francesco Antonio Zimbalo, mentre si deve a Cesare Penna la sezione superiore del prospetto fronatele, con una balaustra ripiena da 13 putti abbracciati ai simboli del potere spirituale e temporale; sopra il timpano inciso e l’elaborata ghiera del rosone, di ispirazione romanica, la croce contenuta nello stemma dei Celestini testimonia il trionfo della Cristianità sulla protervia del paganesimo.
Si dovette attendere la metà del '700 per vedere ultimato il luminoso interno, suddiviso in tre navate da colonne con capitelli raffiguranti i volti degli apostoli.
La navata maggiore è coperta da un soffitto in legno a lacunari; al centro del transetto si apre la cupola con tamburo. Particolare attenzione merita, in fondo alla navata sinistra, l'altare di S. Francesco da Paola, opera di Francesco Antonio Zimbalo, lo ornano 12 stupendi bassorilievi con Episodi della vitae miracoli del santo.
Il palazzo del Governo.
Armoniosamente fuso all'attigua basilica è l'ex convento dei Celestini, oggi sede della prefettura e dell'amministrazione provinciale. Nel suo prospetto bugnato si schiudono due ordini di finestre inquadrate secondo i più ricchi dettami del barocco, il primo a firma di Giuseppe Zimbalo, quello superiore di Giuseppe Cino.
L'abbazia di S. Maria di Ceriate.
All'improvviso, in mezzo alla campagna salentina, c’è un mirabile esempio di architettura sacra medievale. Non si hanno notizie certe sul periodo di realizzazione del complesso, documentato a partire dal 1113 e rammentato anche come residenza di monaci basiliani, ma è possibile che sia stato innalzato nei primi anni del XII secolo; il restauro del 1965 ha posto fine a quattro secoli di abbandono.
La chiesa, di eleganti forme romaniche, mostra in facciata protiro e portale scolpito; al fianco sinistro si accosta un suggestivo chiostro duecentesco, su colonne dai capitelli riccamente decorati. A cavallo tra il XIII e il XIV l’interno fu decorato di affreschi bizantineggianti, cui si sarebbero poi accatastati cicli pittorici d'impronta rinascimentale. L'attigua masseria, ricavata dagli ambienti conventuali, ospita il Museo delle Arti e Tradizioni popolari del Salento.
A pochi chilometri dalla città, la costa adriatica è rimasta, grazie alla sua disposizione aspra e dirupata, lontana dalle correnti del turismo di massa, mantenendo in questo modo un mare.
Dalla bellezza ancora adamantina; più marcato, è il segno lasciato dall’uomo sul versante ionico, dove la costa bassa e sabbiosa ha favorito l’insediamento di molteplici camping, villaggi e residence. Spostandosi nell’interno, il panorama offre una nota peculiare nelle diffuse coltivazioni di tabacco, le cui foglie vengono lasciate asciugare tra spalliere di fichi d'India e cespugli di capperi. Vite e ulivo riproducono le altre risorse di un territorio, dove l'impatto industriale ha spesso lasciato poche tracce.
Lecce non è solo barocca la realtà storica, culturale e artistica del capoluogo salentino. La presenza, nel cuore della città, del teatro e di età adrianea suggerisce di cercarne le radici in epoche più remote. Della Lupiae parla già Strabone, e da quel toponimo sembra trarre anche la lupa che ampeggia nello stemma cittadino. Se l'epoca bizantina e sveva aiutarono l'ascesa di Otranto, gli Angioini, attraverso le potenti casate dei Brienne e degli Enghien, autorizzarono a Lecce di ampliare i propri orizzonti al di là degli angusti locali, aprendola ai commerci con Venezia, in una crescita di autorità.
Il Duomo.
Il primo luogo di culto, innalzato intorno al 1100, fu riorganizzato nella seconda metà del XVI secolo da Giuseppe Zimbalo, totalmente diverse le due facciate: quella principale, laterale rispetto all’orientamento della Cattedrale, riassume nell’esuberanza della decorazione la tradizione del barocco locale.
L’interno, suddiviso in tre navate e chiuso da un soffitto ligneo a cassettoni, mantiene preziosi altari in pietra locale, realizzati dai maestri Giuseppe Cino e Cesare Penna.
Le tre tele nell’abside riportano la firma del pittore settecentesco Oronzo Tiso.
L’anfiteatro.
Si stendeva su buona parte dell’odierna piazza S. Oronzo, le gradinate dell’arena potevano ospitare circa 20 mila spettatori, la cui presenza ha impedito di portare alla luce l’intera struttura. Scoperto nei primi anni del ‘900, l’anfiteatro risale ad Adriano (II secolo d. C.), sulla sommità gradinate correva un parapetto decorato rilievi raffiguranti combattimenti fra uomini, leoni, orsi e tori, parte dei quali è sparsa nell'arena; altri frammenti sono in mostra presso il Museo provinciale Sigismondo Castromediano.
Basilica di S. Croce.
Vi lavorarono diversi artisti, prima Gabriele Riardi nel 1549, che portò a compimento la parte inferiore della facciata; il protiro e i portali laterali sono opera di Francesco Antonio Zimbalo, mentre si deve a Cesare Penna la sezione superiore del prospetto fronatele, con una balaustra ripiena da 13 putti abbracciati ai simboli del potere spirituale e temporale; sopra il timpano inciso e l’elaborata ghiera del rosone, di ispirazione romanica, la croce contenuta nello stemma dei Celestini testimonia il trionfo della Cristianità sulla protervia del paganesimo.
Si dovette attendere la metà del '700 per vedere ultimato il luminoso interno, suddiviso in tre navate da colonne con capitelli raffiguranti i volti degli apostoli.
La navata maggiore è coperta da un soffitto in legno a lacunari; al centro del transetto si apre la cupola con tamburo. Particolare attenzione merita, in fondo alla navata sinistra, l'altare di S. Francesco da Paola, opera di Francesco Antonio Zimbalo, lo ornano 12 stupendi bassorilievi con Episodi della vitae miracoli del santo.
Il palazzo del Governo.
Armoniosamente fuso all'attigua basilica è l'ex convento dei Celestini, oggi sede della prefettura e dell'amministrazione provinciale. Nel suo prospetto bugnato si schiudono due ordini di finestre inquadrate secondo i più ricchi dettami del barocco, il primo a firma di Giuseppe Zimbalo, quello superiore di Giuseppe Cino.
L'abbazia di S. Maria di Ceriate.
All'improvviso, in mezzo alla campagna salentina, c’è un mirabile esempio di architettura sacra medievale. Non si hanno notizie certe sul periodo di realizzazione del complesso, documentato a partire dal 1113 e rammentato anche come residenza di monaci basiliani, ma è possibile che sia stato innalzato nei primi anni del XII secolo; il restauro del 1965 ha posto fine a quattro secoli di abbandono.
La chiesa, di eleganti forme romaniche, mostra in facciata protiro e portale scolpito; al fianco sinistro si accosta un suggestivo chiostro duecentesco, su colonne dai capitelli riccamente decorati. A cavallo tra il XIII e il XIV l’interno fu decorato di affreschi bizantineggianti, cui si sarebbero poi accatastati cicli pittorici d'impronta rinascimentale. L'attigua masseria, ricavata dagli ambienti conventuali, ospita il Museo delle Arti e Tradizioni popolari del Salento.